Ho imparato nell’esperienza di docente e dirigente che esistono almeno quattro dimensioni dell’adolescenza.
La lunghezza del tempo, che sembra non finire mai, e che innesca continue riflessioni sull’esito finale della formazione psicologica, caratteriale e personale. Se è vero che l’uomo si qualifica e si definisce per come si rialza dalle cadute, nell’adolescenza, che è tutto un capitombolo, non c’è nemmeno il tempo per rialzarsi che subito si ricasca di nuovo. Un elastico continuo di eventi che sembra non finire mai, e che produce notevoli problemi di relazione sia in famiglia che nella scuola.
Risulta sempre indefinito l’inizio e soprattutto molto complesso stabilire la fine dell’adolescenza.
Mi oriento a definire tale periodo tra la prima media e la terza superiore, non tanto dal punto di vista biologico, quanto da quello comportamentale e di genere.
La larghezza degli stati d’animo e degli umori adolescenziali: l’irritabilità, la suscettibilità, il bisogno di affetto ma, contemporaneamente, la necessità di mantenere le distanze dai propri genitori diventati molto invasivi.
«I genitori non mi capiscono, cosa sanno di me?».
In effetti cosa sa l’adolescente di sé e quindi come può un’altra persona, seppure sotto le spoglie di mamma o papà, capire chi è, cosa prova, cosa sta passando?
La profondità delle relazioni di amicizia e famigliari. In questo periodo ci si fida degli amici, dei compagni di scuola. È il periodo dove si sta insieme tra amici e tra amiche e si fanno i primi confronti di valore con vite diverse dalla propria. Si inizia a formare il giudizio critico e si cerca la propria identità fuori dalla propria cerchia famigliare. Si prendono le prime decisioni influenzate dal ‘branco’, come la decisione di fumare, di frequentare le discoteche, di uscire di casa fino a tardi. È nella profondità della relazione tra amici – che supera la profondità di relazione con i genitori – che si verificano i primi conflitti.
Genitori in attesa di un cenno di riscontro da parte dei figli e figli che chiedono minori attenzioni e più comprensione sulle proprie esigenze. Genitori che faticano ad accorgersi dei cambiamenti dei propri figli e figli che continuano a cambiare senza esserne pienamente consapevoli.
Infine c’è la quarta dimensione dell’adolescenza che, in qualche misura, dilata tutte le precedenti fino ad elevarle alla nuova: la dimensione dell’identità. Questa identità è costruita su un atteggiamento caratterizzante dell’età adolescenziale: la provocazione.
In questa definizione dell’identità che passa attraverso la provocazione, il rischio per i genitori è di cadere nella trappola della reazione rabbiosa e istintiva. Mentre un sano distacco e la ricerca profonda del bene del proprio figlio potrebbe essere l’approccio giusto alla soluzione del conflitto.
Massimiliano aveva tredici anni, frequentava la terza media, anno in cui ci si impegna per gli esami di Stato che arrivano per la prima volta nella carriera scolastica di uno studente.
Massimiliano era una continua irrequietezza. Aveva preso di mira in particolare una prof. Il suo sport preferito era provocarla per sentirsi dire di tutto e soprattutto aveva una fantasia sfrenata per il tipo di provocazioni che utilizzava: dall’insulto garbato, allo sputo sulla scarpa, alla gomma tirata dal banco alla cattedra, alla gomma da masticare messa sotto la cattedra della prof, al gioco della reazione a catena. Tale gioco consisteva, partendo dal fondo della classe, nel toccare con una mano la mano del compagno più vicino, finché banco dopo banco si arrivava alla compagna in prima fila che si prendeva una carezza e doveva indovinare da dove era partito il primo tocco.
Il gioco era abbastanza tranquillo, innocuo, finché la carezza rimaneva tale; quando però arrivava appunto il turno di Massimiliano, perennemente in primo banco per il comportamento esplosivo, la carezza si trasformava in una sberla sonora che faceva ridere i compagni e piangere la malcapitata di turno compagna di banco. Sì, spesso si trattava di ragazze. Il pianto in classe faceva partire l’ondata di indignazione da parte dei prof che, mi raccontavano quanto fossero difficili le lezioni con Massimiliano. Aveva collezionato già la terza sospensione dell’anno con obbligo di frequenza. Dopo esser stato più volte a colloquio con il preside, Massimiliano veniva affidato al dirigente scolastico. Pazientemente abbiamo dialogato per circa un’ora, prima di lasciarlo rientrare in classe con la comunicazione della punizione impartita dal consiglio di classe.
La madre era oramai al terzo colloquio col sottoscritto e tutte le volte, dopo essersi scusata, mi ascoltava impietrita di fronte all’ennesimo comportamento maleducato di Massimiliano. Da un po’ di tempo a questa parte gli incontri finivano sempre e solo sulle punizioni da assegnare. È vero, c’era di mezzo la sofferenza per una separazione in corso, ma le reazioni di Massimiliano sembravano eccessive.
All’ultimo colloquio la madre mi chiese: “Professor Casonato, come mi può aiutare la scuola?”
Io ebbi uno scatto di fantasia e le chiesi: “Signora, si fida di me?” Lei senza esitare mi disse: “Sì professore, senz’altro. Mi dica!”
“Ho in mente una soluzione”.
All’interno della nostra scuola c’era un insegnante che aveva, nel tempo, maturato una certa sensibilità per i ragazzi ribelli, difficili. La convocai e le chiesi se era disposta ad accettare una sfida complessa che si era presentata alla scuola: la sfida di Massimiliano. Subito valutammo gli impegni dell’insegnante e, verificata la possibilità di un incontro con il ragazzo per due volte la settimana, con la scusa di avere a fianco un insegnante che gli facesse ripetizioni per gli esami di terza media, lo convincemmo ad accettare.
Fu la mossa vincente: l’insegnante capì subito che Massimiliano aveva bisogno di essere incoraggiato nei momenti in cui agiva bene, e aiutato nella riflessione tutte le volte in cui avrebbe agito d’istinto, mosso oramai da un ruolo che era stato affidato dalla classe, quello del provocatore, che non poteva più essergli tolto.
Era aprile, quando la docente iniziò il suo intervento, era luglio quando lo finì, appena dopo gli esami.
A dire il vero qualche settimana dopo l’inizio delle “ripetizioni motivazionali” di Stefania, l’insegnante che avevo scelto per questo difficile compito, mi era capitato di trovare Massimiliano in corridoio e gli avevo chiesto come andassero le cose. Lui mi aveva risposto con un sorriso silenzioso. Io non capivo. Vidi però uscire tutti i ragazzi da una sala dove c’era stato il corso del patentino e lui era in corridoio perché il prof l’aveva buttato fuori. “Massimiliano, Massimiliano… come va con Stefania?” chiesi ignorando l’episodio appena accaduto. “Mi sta simpatica, grazie per quello che fa per me prof”, mi rispose con una leggera nota di rammarico.
Un nodo alla gola mi prese immediatamente alle parole del ragazzo, sentivo che lui aveva trovato finalmente qualcuno che non voleva giudicarlo per i suoi comportamenti, gli voleva bene e basta. Stefania gli chiedeva, però, di assumere un comportamento più responsabile e di uscire dal ruolo di provocatore.
La dimensione longitudinale del tempo è quella che metto in gioco quando vedo i ragazzi come Massimiliano: oggi ti vedo così, però tu sei molto di più di come ti osservo in questo momento. Tu crescendo imparerai il valore della responsabilità che oggi non cogli, perché stai formando la tua identità. In questa fase di passaggio delicato hai bisogno perciò di uno che ti creda, che si fidi di te, che ti dia fiducia nonostante tutto.
Mi auguro sempre di offrire ai ragazzi qualcuno che continui a credere in loro nonostante tutto. Aiuta molto pensare che ci sia la dimensione tempo da tenere in considerazione nel proiettarli più avanti, a quando si faranno adulti.
Nel frattempo la dimensione laterale della gestione emotiva delle situazioni e degli stati d’animo del ragazzo, non può essere ignorata. Va governata, va gestita. Ho imparato che esiste un solo modo per guidare lo stato d’animo di un adolescente molto provocatore: accoglierlo, ascoltarlo, amarlo e dialogare con lui in modo tale che si senta capito. Poi si può compiere il passo successivo della responsabilità.
Questo ci fa accedere alla terza dimensione del ragazzo, la dimensione relazionale, dentro la quale lui vede solo gli amici, ma ha bisogno di sentire la presenza dei genitori. La cosa importante, quindi, è dare valore alle sue amicizie, rispettandole ma anche contestandole, se si vede che incoraggiano i comportamenti provocatori. Il papà e la mamma che accolgono, ascoltano e amano il loro figlio hanno tutta l’autorevolezza per aiutarlo nella scelta delle amicizie. Senza imposizioni, ma chiarendo bene il punto di vista.
Conseguentemente, nel costruire la sua identità, il ragazzo si sente libero di agire, sicuro della famiglia e pronto ad affrontare le situazioni della vita, della scuola, degli amici senza la necessità di agire con provocazioni.
Massimiliano superò l’ammissione all’esame appena al limite della sufficienza, ma l’imprevisto cambio di rotta nell’ultimo mese di scuola fu visto dal consiglio di classe come un fattore determinante per la sua ammissione agli esami di terza media.
L’esito dell’esame fu ‘sufficiente’, non un granché, ma era tutto suo, nessun insegnante aveva regalato niente.
A luglio arrivò la mamma a parlarmi e con le lacrime agli occhi mi disse:
“Non smetterò mai di ringraziarla, lei ha salvato mio figlio! Quando in quel colloquio di aprile mi guardò negli occhi e mi chiese se mi fidavo di lei, io avevo capito che aveva trovato la soluzione. Istinto di mamma. Lei, prof Casonato, l’ha trovata la soluzione, e che soluzione! Stefania è stata la docente meravigliosa che ha cambiato mio figlio, la nostra famiglia è cambiata, e solo in un mese!”
Chiamai Stefania per sapere quale miracolo avesse operato e lei mi raccontò semplicemente che aveva osservato i comportamenti del ragazzo a casa, dove andava a fare ripetizioni, e si era accorta di alcuni errori dei genitori nella normale gestione quotidiana della vita.
Corrette tali sviste e disattenzioni la famiglia aveva acquisito più serenità.
Stefania poi aveva compiuto un gran lavoro con Massimiliano sul volersi bene, sul fatto che in lui c’è il bravo ragazzo, solo che, a volte, non vuole venire fuori, perché prigioniero dell’immagine che gli altri si sono fatti di lui da non renderlo più libero di scegliere.
Già, perché dietro ai comportamenti provocatori si nasconde, in realtà, l’idea che gli altri si sono fatti su di noi e che noi continuiamo a difendere per avere considerazione sociale almeno da qualcuno.
Per aiutare il ragazzo a crescere è utile farlo uscire dalla trappola dell’identità sociale in cui si è infilato e procedere, insieme a lui, alla ricostruzione della quarta dimensione, quella che gli dà spessore, che gli forma il carattere e che gli dà i valori su cui crescere: la sua identità autentica.
Su questa dimensione la famiglia, la scuola, la società, gli amici hanno una responsabilità fondamentale: collaborare per aiutare il ragazzo a formarsi al bene e diventare un buon cittadino.
Ho saputo, qualche tempo dopo, che Massimiliano aveva cominciato a frequentare brutte compagnie. A marzo, prima dell’intervento di Stefania, aveva partecipato ad un festino a casa di amici più grandi di lui dove giravano cocaina ed alcool.
A giugno Massimiliano aveva comunicato a questi ‘amici’ che a lui non interessava più quel tipo di divertimento. Cercava qualcosa che lo rendesse più felice. E l’ha trovato nella sua famiglia e nel suo equilibrio interiore. La sua identità si è incanalata al bene verso di sé e verso gli altri. Frequenta regolarmente un liceo cittadino con risultati sufficienti.
Lui, in un paio di occasioni, è tornato nella nostra scuola. È rimasto fuori a osservare il portone. L’ho visto da lontano un giorno, mentre tornavo dal pranzo pomeridiano. Era lì, fuori dalla porta della scuola a cercare qualche volto noto o qualche amico. Sono arrivato davanti a lui e l’ho salutato. Un sorriso pieno di riconoscenza si è stampato sul suo volto. Ci siamo guardati intensamente negli occhi. Ci siamo scambiati qualche frase di circostanza, poi ognuno è proseguito per la sua strada, verso direzioni diverse, ma con un’unica sicurezza nel cuore: quell’incontro tra di noi ha cambiato le nostre vite. E ora possiamo guardare con più fiducia verso il futuro.
Giordano Casonato
Direttore di GSO