La famiglia Nazareth: un incontro tra persone - GSO

La famiglia Nazareth: un incontro tra persone

Penso spesso a come mi sarei comportato io in contesti che oggi è facile giudicare perché conosciamo già l’esito della storia. È un po’ come affrontare i problemi di Matematica con il risultato.

Mi riferisco in particolare alla storia della famiglia di Nazareth che cercava alloggio e non lo trovava perché non c’era posto per loro in albergo. Fin da bambino, andando a catechismo, prendevo evidentemente le parti della famiglia e continuavo a pensare a quale errore madornale avessero commesso quegli albergatori o quei proprietari di bed and breakfast di Betlemme, nel rifiutare l’ospitalità a Gesù e ai suoi genitori.

Conoscendo l’esito della storia è chiaro che l’albergatore o i proprietari scaltri avrebbero potuto trascurare il fatto che Giuseppe e Maria non potessero pagare, che fossero stranieri, che avessero l’aspetto di mendicanti in cerca di elemosina.

Invece la Sacra Famiglia fu costretta alla scelta della grotta anonima. Una stalla. Un posto a cui le nostre Ulss non avrebbero di sicuro concesso l’autorizzazione né per viverci, né tantomeno per partorire: fuori dalle norme igienico-sanitarie.

Il punto di vista della famiglia mi è sempre stato chiaro: speriamo che qualcuno ci aiuti. Confidiamo nella Provvidenza.

Il punto di vista dell’albergatore mi è sempre sfuggito. Tutto sommato, invero, mi sembra molto chiaro: se non puoi permetterti l’albergo, non entri; se è già tutto esaurito non è certo colpa mia, dovevi muoverti prima; se vai in giro in cerca di una camera oggi per oggi, non trovi nulla. Quindi, le risposte negative alla richiesta di essere ospitati sono assolutamente sensate.

Cosa fa la differenza allora in questo comune buon senso di scelte logistico-economico-razionali?

Credo che fondamentale sia il sentimento umano della pietà, sia intesa all’antica come valore profondo dell’unità della famiglia, sia nel senso cristiano del termine intesa come misericordia.

E a quel punto, sentita la pietas, da un atteggiamento poco accogliente, l’albergatore entrerebbe in relazione con la famiglia e si porrebbe il problema di sistemarla.

Per diffidenza, paura o semplicemente per prudenza spesso noi stiamo con la porta socchiusa per vedere chi abbiamo davanti e impedirgli l’ingresso.

Non sappiamo chi è.

Viviamo con l’idea che gli altri possano essere dei pericoli per la nostra sicurezza.

Cerchiamo allora di rinchiuderci e barricarci nelle case in modo da evitare spiacevoli avvenimenti.

Il problema è che a questo punto ci priviamo anche della possibilità di aprirci a nuove relazioni che potrebbero essere importanti per la nostra vita.

La relazione innescata quasi fortuitamente, in modo distratto ci costringe a farci carico delle persone.

“Farsi prossimo”, direbbe il cardinal Martini.

Incontri, confronti, analisi, decisioni, verifiche, sono tutti passaggi logici che si sviluppano nella nostra mente e tentano o abbozzano soluzioni ai problemi in termini di efficienza ed efficacia.

Ma l’amore va oltre. L’amore non misura ciò che dà. L’amore è coraggio, novità, vita, imprevedibilità. L’amore è una pioggia di emozioni sul terreno arido della nostra storia. L’amore è il sentimento duraturo che raccoglie le nostre emozioni, commozioni e certezze per trasformarle in qualcosa di nuovo.

L’amore trasforma la vita. La vita che si raccoglie intorno all’amore trasforma anche le persone che ci sono vicine.

È l’amore alla fine che spinge alle scelte. Le scelte che ci cambiano sono dettate dall’amore.

Scegliere di entrare in relazione significa esaltare l’amore. Mettersi nelle mani di Dio significa affidarsi all’amore. Dall’amore nascono le scelte di bene. Il bene è contagioso. Quindi lasciarsi contagiare dal bene significa cambiare la realtà cha ci circonda, anche se scomoda.

Con tali sentimenti affronto la famiglia che mi arriva. Dopo lunga insistenza con il preside del Liceo della nostra scuola, la famiglia Rossi più volte chiede un incontro con il Dirigente Scolastico perché vuole un posto nella nostra scuola. Tuttavia non c’è posto perché il tipo di handicap di Maria noi non riusciamo a gestirlo. Il bene si deve fare bene e non si può fare tutto (continuo a pensare con il Murialdo nella mente).

Questa famiglia insiste e bussa in modo impertinente alle porte della nostra scuola. Già altre scuole statali e paritarie cattoliche hanno rifiutato questa famiglia. Non c’è posto per loro in queste scuole.

E nella scuola cattolica che dirigo?

Comincio a pensare di essere interpellato in prima persona. A me personalmente viene chiesto di dare una risposta. È alla mia porta che stanno bussando. Il bene bisogna farlo bene.

“Ok, li riceverò e farò presente i limiti della scuola. Poi loro capiranno e sceglieranno di conseguenza”, penso dentro di me. Anch’io ho solo una ‘stalla’ dove ospitarli.

Arrivano i genitori e quello che si verifica è una scena che non dimenticherò più per tutta la vita.

La madre, dopo avermi raccontato i rifiuti ricevuti dalle numerose scuole che aveva visitato, anche cattoliche, sottolinea, si mette in ginocchio, mi consegna una lettera e mi supplica di accogliere sua figlia nella nostra scuola.

Mi hanno messo il piede nella porta. Ho cercato di capire chi avevo davanti, ma, a questo punto, con quel gesto, il contatto è diventato relazione. La relazione mi ha compromesso. Ora non c’è più l’istituzione Famiglia che incontra l’istituzione Scuola che deve dare una risposta burocratica al problema.

C’è un incontro tra persone.

Le persone che si incontrano hanno di fatto più possibilità:

Decidere di ignorarsi. Decidere di conoscersi. Decidere di prendere tempo.

Questo, o qualsiasi altro ragionamento che si voglia fare, diventa una scelta. Non è più una non scelta.

La mamma che si inginocchia colpisce il mio animo nel profondo. Mi commuove! Chi sono io per dire di no? Però sono altri che dopo si dovranno occupare di Maria. Cosa penseranno della mia scelta di accoglienza?

Parlo con gli insegnanti e inoltre chiedo consiglio al nostro Servizio di Psicologia e Pedagogia. Da ambo le parti ricevo la risposta più bella che potessi aspettarmi: è una sfida d’amore, raccogliamola!

L’amore va prima offerto. Non può essere misurato. Si dà e basta. Spesso la conseguenza è che ci possiamo sentire traditi dall’amore concesso. Le porte chiuse non rappresentano il frutto dell’amore, ma dell’egoismo. La sfiducia che maturiamo nel tempo nelle relazioni con le persone rischia di diventare così invasiva che ci cambia, destinandoci ad un’aridità di cuore che ci porta a chiudere le porte della relazione. Ci porta a non scegliere, a diventare passivi e quindi, all’indifferenza.

Io, desidero continuare a tenere la porta aperta. L’accoglienza sincera sorprende sempre e cambia le persone. Se il mondo evolvesse in un sistema di relazioni aperte, le persone sarebbero felici. Sanno di poter essere, senza la necessità di dover apparire.

Maria frequenta ormai da tre anni la nostra scuola con un discreto profitto. I compagni sono diventati più sensibili ai temi dell’handicap. I professori sono più attenti ai bisogni personali degli studenti, non solo a quelli di Maria. Il sistema è cambiato, perché l’accoglienza accordata sull’amore cambia tutto.

Una scuola che sceglie di aprire la porta, di essere accogliente e di vivere quello che predica è la scuola che sogno, che vedo e che mi piacerebbe potesse allargare il suo orizzonte di servizio.

Giordano Casonato

Direttore di GSO

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