Quinta superiore. Anno della maturità. Carlo è uno studente che funziona al minimo. Rasenta sovente la sufficienza. Alterna compiti in classe svolti con voti brillanti e compiti in classe appena sufficienti. Sembra quasi spaventato dall’essere troppo bravo, per cui appena arriva un buon voto subito deve sistemarsi per prendere un voto solo sufficiente. La sindrome del ‘secchione’ lo spaventa non poco, perciò i compagni dovrebbero avere di lui l’idea che non è uno scemo, ma nemmeno che sia uno eccessivamente studioso.
Nel linguaggio scolastico lo definiremmo come uno studente di buone capacità, poco costante nello studio, interessato a fasi alterne alle discipline, che ha margini di miglioramento nell’impegno scolastico. È bravo ma può applicarsi di più.
Grazie all’impossibilità della scuola di avere aule dotate di un pc per ogni studente, Carlo è riuscito a far sempre lavorare il compagno di laboratorio, perché a lui il pc proprio non gli interessava. Arriva in quinta e, nell’elaborare il progetto da portare alla maturità, si sente messo con le spalle al muro dall’insegnante di Economia Aziendale il quale vuole che riesca a coltivare questa competenza informatica come si deve.
“Ma prof a me non interessano i pc”
“Ma come, nell’era digitale tu non hai interesse ai pc?”
“No”, risponde deciso.
“Sai, la scuola però su queste competenze deve farvi lavorare, il futuro del lavoro sarà tutto attraverso pc”
“Sì, lo so, ma a me non interessa”
“Cosa ti interessa Carlo?”
“Niente di quello che faccio a scuola”
“E di quello che non fai a scuola?”
“Cosa c’entra prof?”
“Rispondi alla domanda!”, insisto con tono perentorio.
“Ma, vede, io ho una passione …”
“Dimmi Carlo, mi sembra interessante!”
“Si, ma non c’entra niente con la scuola”, mi risponde in modo svogliato.
“E di cosa si tratta?”, lo incalzo.
“Si tratta della passione per i pappagalli”
“I pappagalli?”
“Sì, le avevo detto, prof, che non c’entrava niente”
“No, dai, mi incuriosisce la cosa!”
“Sì, io tutti i giorni porto da mangiare ai pappagalli che ho a casa, ne ho più di una trentina di diverse specie”
“Ah, interessante…”
“Sì, prof, ma cosa c’entra con l’Economia Aziendale e l’Informatica?”
“Beh, per esempio potresti realizzare un sito internet sui pappagalli”
“Cosa?”
“Hai capito bene, un sito internet sui pappagalli”
“E come faccio a realizzarlo?”
“Beh, la scuola sta per organizzare un corso pomeridiano di creazione pagine web, partecipi al corso e poi realizzi il tuo sito”
“Davvero?”
“Direi di sì!”
“Ma è possibile?”
“Te lo sto suggerendo! T’interessa?”
“Sì, mi interessa molto, anche se l’informatica non è il massimo”
“Ok, allora è deciso, realizzerai un sito internet sui pappagalli e mi dimostrerai in che modo questo sito si mantiene dal punto di vista economico-aziendale”.
Alla maturità il progetto di Carlo è molto apprezzato dai commissari esterni che guardano incuriositi a quanto siano belle le foto dei pappagalli illustrate dallo studente e quanti particolari siano indicati nelle finestre descrittive delle diverse tipologie di pappagalli. La cosa che sembra più bella, tuttavia, è vedere il ragazzo raccontare con molta passione il lavoro che ha svolto. Per la prima volta vedo Carlo acceso, attivo, appassionato, si accalora mentre parla: cosa alquanto difficile per lui che normalmente viveva in modo tiepido la scuola.
Esce con un buon voto, e alla fine gli chiedo se il lavoro fatto lo avesse soddisfatto.
“Certo prof, sono stato contento di averlo svolto”
“Ok, ma allora meglio i pappagalli o l’informatica?”
“Sicuramente i pappagalli, ma anche l’informatica tutto sommato non è male. Il programma utilizzato per realizzare i siti l’ho capito abbastanza, però mi sono anche fatto aiutare da un amico”.
Sincerità post-esame!
La cosa interessante di questa vicenda è che i numerosi tentativi della scuola di appassionare Carlo all’Informatica erano risultati tutti infruttuosi. Serviva un dialogo personale per ascoltare il giovane, condurlo ad un ragionamento più ampio di quello che continuava a farsi tra sé e sé e provare a convincerlo a partire da un suo specifico interesse per acquisire una competenza.
E la cosa sorprendente di tale vicenda è che una scuola che ascolta poco i suoi studenti, tutta centrata sui suoi programmi, i suoi obiettivi, le sue mete educative, i suoi riferimenti ministeriali, è una scuola poco efficace.
La scuola celebra se stessa dentro un sistema autoreferenziale dove, ogni tanto, ci si ricorda che lo studente può avere un suo interesse, una sua competenza, una sua attitudine che attende solo di essere scoperta e valorizzata. È chiaro che avremmo tanti tipi diversi di programmi scolastici, ma vedere il mondo a colori è meglio che vederlo in bianco e nero.
Mi sale forte il desiderio di offrire un suggerimento agli insegnanti: provate a chiedere, personalmente a ogni studente, di offrire una lezione alla classe su qualcosa di loro grande interesse.
Oppure provate a chiedere quale sogno vorrebbero realizzare nella vita.
Mi hanno sempre spiazzato due cose di fronte a queste domande:
-Le risposte del tipo: “No prof, faccia lei la lezione, io non ho niente da dire e nessun sogno da realizzare.”
-Le preoccupazioni che in questo modo si stesse perdendo tempo e quindi fosse meglio tornare a svolgere il proprio dovere di studente che obbedisce supinamente agli ordini dei propri insegnanti.
Ma come, nel momento in cui ti offro la libertà di poter scegliere qualcosa di veramente tuo, che ti interessa profondamente, tu non sai cosa dirmi e ti trinceri dietro al … ‘faccia lei la lezione’?
Come insegniamo l’autonomia ai nostri studenti?
Come li educhiamo a crescere coraggiosamente scoprendo quello che c’è in loro?
Come li portiamo alla consapevolezza dei propri mezzi per poterli offrire a qualcun altro?
Come li educhiamo alle scelte?
Come valorizziamo i loro sogni all’interno della scuola?
Una fila di ‘come’ che nascondono un grande ‘perché’: perché i ragazzi non possono costruire il loro percorso formativo in modo personalizzato?
Quale scopo ha la nostra scuola?
Da più di venti anni lavoro nella scuola e posso affermare, con grande convinzione, che mettersi nelle mani degli studenti porta sempre a dei grandi risultati, più di quelli che i professori stessi si possano immaginare.
E allora fidiamoci degli studenti! Con la fiducia basata sulla responsabilità si ottengono veramente dei grandi risultati, e per gli studenti e per le famiglie e anche per la scuola. Provare per credere.
Giordano Casonato
Direttore di GSO